Formatore e fotografo professionista specializzato in astrofotografia e fotografia notturna. Nel 2019 premiato in Parlamento per le attività di divulgazione della fotografia astronomica. Lavoro come fotografo e formatore per aziende, professionisti e appassionati.

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Flat con camere astronomiche: le premesse non scontate

Flat con camere astronomiche: le premesse non scontate

Quali sono le premesse non scontate da rispettare se desideriamo ottenere buoni flat field con le nostre camere astronomiche?

I flat sono un problema frequente tra chi inizia a praticare astrofotografia deep sky, ma che potrebbe diventare resistente e quasi permanente se non lo si affronta bene e non lo si comprende.

Flat con camere astronomiche: le premesse non scontate

Di fronte al discorso dei flat field e di come poterli realizzare in modo corretto, c’è sempre molta discussione, e la perplessità di chi deve imparare a realizzarli correttamente talvolta rischia di trasformarsi in frustrazione. Perché devo imparare a fare buoni flat? E a cosa servono i flat?

Ecco a cosa non servono: i flat non servono a rimuovere la vignettatura

O meglio: non solo!
I flat field sono gli scatti di calibrazione più importanti in astrofotografia deep sky. Sono in grado di cambiare le sorti della nostra immagine, di elevarne la qualità ma anche, se non eseguiti correttamente, peggiorarla.
I flat servono a caratterizzare un sistema.
Rimuovono la vignettatura dell’ottica e del sensore, certo, ma provvedono anche a correggere la polvere che si trova negli elementi ottici più vicini al sensore e che diventa ben visibile nei nostri scatti. Intervengono sulle differenti sensibilità dei singoli fotodiodi che popolano il nostro sensore, che in linea teorica dovrebbero essere equivalenti, ma che in realtà equivalenti non sono. Il flat caratterizza l’intero sistema, l’insieme dei “difetti” del nostro intero setup che saranno prontamente registrati su un’immagine light. Quando illuminiamo l’ingresso dell’ottica con una fonte di illuminazione perfettamente diffusa, tutto quello che andremo a fotografare saranno elementi che potremo eliminare dai nostri light poiché non appartenenti a caratteristiche proprie della scena notturna fotografata.

Quali sono le premesse non scontate per realizzare buoni flat con camere astronomiche?

Mi capita spesso di discutere con chi non riesce a ottenere buoni scatti flat e talvolta, specialmente quando si tratta di scatti realizzati con le moderne CMOS astronomiche con sensori retroilluminati, si rischia di fare confusione e di attribuire erroneamente il proprio fallimento a ipotetici difetti della camera, quando il problema risiede altrove.
Penso ad esempio al tema della non linearità dei CMOS, un tema discusso. Come il grande Alessio Beltrame aveva dimostrato nel 2017, l’argomento non può essere generalizzato, poiché diversi sensori CMOS utilizzati nelle moderne camere astronomiche raggiungono una buona linearità, se rapportata alle esigenze di un astrofotografo che fa astrofotografia amatoriale e che non necessita di uno strumento di misura per la ricerca scientifica.

Quello a cui invece darei maggior attenzione sono le premesse necessarie a ottenere buoni flat. Condizioni che apparentemente sembrano sempre rispettate ma che poi, iniziando un confronto con chi ha problemi e andando a fondo nella discussione, si scopre come non siano di fatto corrette.

Prendetelo come un percorso a ostacoli, dove si raggiunge l’ostacolo successivo soltanto se si è superato il precedente.

Ecco il personale percorso, ovvero le condizioni che oggi mi permettono di ottenere flat corretti e senza risultati altalenanti:

  1. Utilizzare una fonte di illuminazione veramente diffusa. Scontato? Niente affatto! Perdo ore a confrontarmi con chi, frustrato, non riesce ad ottenere il risultato desiderato, per poi scoprire che per illuminare l’ottica utilizza una tavoletta da 9,90€ acquistata online e pensata per illuminare il bancone della cucina. Ne avete una e vi trovate bene? Missione compiuta, ostacolo superato. Se invece avete problemi, ricordate che quella tavoletta con tutta probabilità non illumina per niente in modo omogeneo e diffuso. La tavoletta può essere il vostro primo elemento di partenza, ma dovrete aggiungere altri componenti che diffondano la luce, rompano il flickering dei led e riducano l’intensità luminosa. Di norma utilizzo fogli spessi di plexiglass.
  2. Soprattutto se utilizzate un newton, assicuratevi di coprire ogni zona che possa infiltrare luce indesiderata. La culatta va coperta in modo perfetto, così come il focheggiatore.
  3. Realizzate i flat in un ambiente circostante buio. “Ma io ho coperto l’esterno del focheggiatore e la culatta del telescopio e quindi posso fare i flat sotto il Sole a mezzogiorno.” No, avrete sempre e comunque delle infiltrazioni. Escludo da questo discorso chi fa sky flat, non trattati nell’articolo.
  4. Rispettate gain, offset e temperatura dei light. Raffreddare il sensore per i flat è utile, ma è fondamentale rispettare la stessa impostazione di gain e offset. Specialmente nelle moderne camere CMOS dove a ogni variazione di gain è come trovarsi di fronte a un sensore sempre diverso.
  5. Con le moderne CMOS astronomiche mantenete tempi di scatto dei flat sopra al secondo. Questo perché (ed è il motivo per cui non si fanno nemmeno più scatti bias), diverse moderne camere astronomiche CMOS quando scattano sotto al secondo sono ben poco lineari e per scatti di calibrazione è fondamentale ottenere scatti uguali e coerenti tra loro. Per tanto sarà utile una fonte di illuminazione regolabile che vi permetta di poter impostare tempi di esposizione relativamente lunghi.
  6. Per quanto spiegato sopra, è buona cosa realizzare sempre i Dark Flat, ancor più con queste camere CMOS moderne che vi obbligano a tempi di scatto lunghi e dove non si fanno bias.
  7. Raffreddate il sensore lentamente per evitare la formazione di condensa. La condensa sui flat rovina il vostro masterlight e spesso incappiamo in questo errore perché decidiamo di realizzare i flat “al volo” la mattina successiva o in un qualsiasi altro momento rispetto alla sessione fotografica e lo facciamo raffreddando il sensore in pochi secondi.
Considerazioni personali

Nella mia esperienza rispettando alla lettera questi passaggi il valore di ADU impostato in diversi sensori CMOS moderni diventa irrilevante. Se restiamo nel range dinamico del sensore avremo probabilmente una linearità tale da non ritrovarci con risultati diversi al variare degli ADU. Nel 90% dei casi se avete problema con i flat, il problema è nella fonte di illuminazione o dovuto a infiltrazioni luminose.

Ho eseguito insieme ad altri amici dei test di linearità sulle ASI 294 e sulla ASI 2600, risultati che confermano quanto scritto sopra.

Quale che sia la situazione di linearità dei singoli sensori CMOS che state utilizzando, ricordate che i punti sopra possono essere validi a prescindere. Assicurarsi di applicarli con rigore potrebbe risolvere i vostri problemi e permettervi di ottenere buoni flat field con i quali calibrare le vostre immagini. Buona luce e buon lavoro!

Ricordate che sul mio canale YouTube troverete altri consigli e che nel blog di questo sito potrete leggere altri articoli dedicati ai flat. Buone foto!

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